Consideriamo ora l'altro tratto dell'asse viario medioevale. Esso prosegue dalla Piazza S. Giovanni verso sud, inoltrandosi nella zona denominata popolarmente “Borgovecchio”. Il tratto assume oggi due denominazioni. La prima parte, che inizia dalla piazza e prosegue sino alla fine dei portici, si chiama Via Vittorio Veneto, la seconda Via Borgovecchio.
Via Vittorio Veneto è l'unica strada cittadina che abbia conservato una doppia fila di portici. La struttura medioevale della via è perfettamente leggibile, nonostante qualche alterazione di varia entità. Lo spazio viario è estremamente ristretto, a vantaggio dei portici, con ogni probabilità per dare ampio margine di riparo alle attività artigianali ed economiche che la via ospitò sin dall'inizio.
In realtà non sappiamo se il Burgum vetus, citato in un atto del 1276 a favore dell'abbazia di S. Maria di Casanova in Carmagnola, corrisponda esattamente a questa parte dell’abitato medioevale; oggi pare accreditata la tesi che la denominazione Via Vetula de Carnano, nominata in un documento del 1278, sia riferibile alla strada che dal Pinerolese portava a Carignano.
La tipologia degli edifici richiama quella tipica del Medioevo: la loro disposizione non risponde tanto a criteri di orientamento solare, quanto a un principio di gravitazione sui principali assi viari; i fabbricati sono caratterizzati da prospetti a portici con botteghe artigianali e commerciali; tettoie, rustici e cortili erano schierati sugli altri lati delle isole, ossia dei nuclei abitativi. Alcune case erano provviste di logge, inizialmente in legno (come attestato nella raffigurazione centrale della pala del Rosario nella chiesa di N. S. delle Grazie) e poi in muratura. Il soffitto del portico era spesso a cassettoni lignei (in qualche tratto conservati). Frequenti le rittane, ossia le intercapedini poste tra una casa e l’altra, per l’eliminazione dei reflui urbani in canali di scolo, che confluivano in canali maggiori verso il Po o i suoi affluenti.
Di particolare interesse è il lungo edificio porticato, in V. Vittorio Veneto (n. civici da 6 a 12), attiguo al Palazzo “Depinto”; splendide decorazioni in terracotta lungo i contorni degli archi e delle quattro finestre gotiche sono emerse sotto l'intonaco durante un restauro del 1997.
In Via Vittorio Veneto n. 11, all’angolo con via Quaranta, un edificio porticato presenta una fascia marcapiano in cotto e tre figure antropomorfe (XV secolo): l'impiego di questo tipo di decorazione è assai diffuso nell'arte romanica, che fissò riproduzioni simili sopra gli ingressi di torri, case o chiese, oppure all'incrocio delle strade. Esse avevano i! compito di proteggere, beffeggiandolo, dagli attacchi del Demonio. Ancora in Via Vittorio Veneto, al n. 13, all'angolo con V. Quaranta, è da notare la casa Orticelli, dal nome di uno degli antichi proprietari. La facciata e l'edificio hanno subito notevoli alterazioni. Tra ‘500 e ‘600, gli archi gotici furono ribassati per ottenere un nuovo piano abitativo, portando lo sviluppo verticale dell'edificio da due a tre piani. Le due grandi finestre gotiche furono chiuse e si ebbe l’apertura di finestre a crociera, anch’esse tamponate in seguito con mattoni e ciottoli di fiume. L'intera facciata fu ricoperta da un intonaco dipinto a falso bugnato. L'arch. d'Andrade, in un suo acquerello, fissò la memoria dei colori originali del bugnato, probabilmente di gusto rinascimentale: le punte di diamante erano a facce bianche, gialle, verdi e nere (ne resta visibile un piccolo lacerto, nella parte che riveste in basso la finestra a crociera).
Tra i civici n. 15-17 e n. 21-23, di V. Vittorio Veneto, sono ben visibili due rittane per lo scolo delle acque reflue. Secondo le norme dettate dagli Statuti del 1474, le rittane dovevano essere chiuse con un muro lungo la via pubblica, sino al livello della prima gronda; in basso si doveva lasciare un'apertura per lo scolo; i possessori di rittane lungo le vie mediane del borgo dovevano invece chiudere del tutto le rittane e scavare un pozzo per lo scolo. Quella di casa Orticelli è un esempio di rittana chiusa. Sotto i portici, al n. 21 si può ammirare un bel portone ligneo, databile al 1830 circa; al n. 27 si apre un grazioso ingresso barocco.
All'incrocio tra v. Vittorio Veneto e V. Quaranta (intitolata a un abate, benefattore degli anziani; un tempo la via era detta dello Spirito Santo), la via si modifica. Sul lato sinistro, la fila dei portici continua flettendosi; sulla destra essa viene a mancare, per l'inserimento della Chiesa dello Spirito Santo. Già sede della Confraternita dei Battuti Bianchi, la Chiesa si sostituì ai portici, arretrando per creare uno slargo che consentisse la vista della facciata la quale, sobria e porticata, da un lato non interrompeva l'ambiente medioevale e dall'altro proseguiva la funzione protettiva del portico. Molto belli gli affreschi della cupola, opera dei fratelli Gioannini di Varese (primi anni del XVIII secolo), già attivi nei palazzi della nobiltà carignanese. Uno degli altari laterali fu progettato dal grande architetto Vittone.
Dopo la chiesa, i portici spariscono del tutto, inglobati nel Palazzo dei Vivalda di Castellino. L'edificio possiede un notevole parco (ingresso da Piazza C. Alberto), e un grande corpo di fabbrica. Le fondamenta sono sicuramente medioevali, come testimoniano alcuni tratti della muratura interna ed esterna (all’esterno, si intravedono alte arcate di un portico, nei tratti di intonaco parzialmente caduti) e la tavola del Theatrum Sabaudiae. Sulla facciata in Via Vittorio Veneto sono visibili interessanti inserimenti barocchi, come la grande finestra ovale che sovrasta un portoncino, al n. 20.
La dimora passò dai nobili Grimaldi ai marchesi Vivalda forse sul finire del XVII secolo. Il personaggio più importante della famiglia fu Filippo Vivalda marchese di Castellino (morto a Carignano nel 1808), già inviato straordinario a Vienna (1772), poi ministro in Olanda (1774), gentiluomo di camera del Re Carlo Emanuele III di Savoia e tesoriere dell'Ordine dell'Annunziata (1781); nel 1794 fu nominato viceré e luogotenente capitano generale del Regno di Sardegna.
In Via Borgovecchio, all’angolo con Via Cara De Canonica, dopo i lavori di restauro operati da un privato, è tornatagli antichi splendori la facciata di un’antica residenza nobiliare: il Palazzo Provana di Collegno, passato poi per eredità ai baroni Cavalchini Garofoli. L'edificio comprende una Casatorre, posta lungo Via Cara de Canonica, e un edificio signorile, probabilmente del XVI secolo; un ampio cortile in sternito, i balconi, alcuni ambienti interni, denunciano, la ricchezza della famiglia cui il Palazzo appartenne.
Proseguendo in via Cara De Canonica, al n. 5, è interessante notare la tettoia, che, pur modificata, conserva un impianto tipico delle costruzioni tardomedioevali piemontesi. Superato il bel palazzo a corte semichiusa, posto al n. 7 (notare lo sviluppo delle balconate che, seppure moderne, dovrebbe seguire l’esempio antico, nel cortile interno), si arriva ai resti delle fortificazioni, erette nel XVI secolo, su progetto dell’architetto militare Ascanio Vitozzi attorno alla torre civica: quest’ultima, data la vetustà, potrebbe essere l’edificio fatto costruire dai marchesi di Romagnano, consignori di Carignano, nel 1229. Poco oltre, il nuovo edificio delle Poste sorge sopra un terrazzamento che scende verso il pianoro, uno dei bastioni di difesa della città.
Proseguendo la passeggiata, da Via Cara de Canonica svoltiamo a destra su via Torre: la disposizione curvilinea delle case, ricorda la presenza delle mura, fatte abbattere dai Francesi dopo la sconfitta ispano-sabauda del 1544. Al n. 13, un affresco (Madonna del Carmine e S. Sebastiano) rammenta la presenza di un antico edificio religioso, forse fatto erigere dai confratelli dei Battuti Bianchi prima del definitivo trasloco nella Chiesa dello Spirito Santo.
Dopo il Palazzo Vivalda, già in V. Borgovecchio (ai nn. 4,6,8), all'angolo con Via Bastioni, sorge la Casa attribuita a Renato di Savoia, detto il Gran Bastardo di Savoia. L'edificio, che risale forse al Tre-Quattrocento, è decorato in facciata da due fasce ad archetti trilobati e formelle in cotto, recanti tra rosoni e trifogli alcuni stemmi, uno dei quali riferibile ai Savoia-Acaja o a Renato di Savoia-Tenda (scudo sabaudo percorso da una fascia trasversale). Il palazzo ha tre piani fuori terra, e nel portico presenta due campate oggi voltate a crociera con archi a sesto acuto, poggianti su pilastri quadrangolari. La porta d'ingresso originaria forse poteva allocarsi nell'angolo a sinistra del muro di fondo del portico, dove oggi è ancora visibile un arco d'ingresso. Nel corso del ‘700, la casa fu ampiamente manomessa, soprattutto negli ambienti interni. Nell'800 fu studiata dall'architetto portoghese d'Andrade, che in quegli anni stava progettando il Borgo Medioevale a Torino. Qualche anno dopo, importanti restauri (ed ulteriori manomissioni) ed impostazioni di ripristino realizzarono le volte a crociera dei portici, riaprirono le bifore con rifacimento delle colonnine mediane e del fregio sottostante al davanzale in facciata. Non sappiamo su quali basi lo storico carignanese G. Rodolfo attribuisse l'edificio a Renato di Savoia: forse destò in lui interesse uno degli stemmi del fastigio, similea quello presente anche nella lapide tombale di Libera Portoneri, madre di Renato, conservata nella chiesa di N. S. delle Grazie.
Poco oltre, le mura chiudevano il borgo medioevale. Qui era situata l'antica Porta del Mercato (Porta Merchati), cosi chiamata perché sotto il porticato si teneva il commercio. Dalle descrizioni doveva trattarsi di una porta di difesa, con ponte levatoio. Fu abbattuta probabilmente attorno al 1660 o poco oltre. Da qui partiva un rigagnolo, che terminava nell'Ojtana, verso Via S. Chiara.
Oltrepassata la Casa di Renato di Savoia, prima della discesa, una piccola digressione in Via Bastioni ci permette di ammirare, da una cancellata, una parte del palazzo dei Vivalda; al n. 11, un bellissimo portone ligneo è opera dello scultore carignanese Giovanni Busso (oltre metà XX secolo).
Il Vicolo Annunziata, stretto ma lineare, conserva l’antica pavimentazione a sternito; la sua collocazione al limitare delle mura, fa presumere che si trattasse di un sistema di difesa contro l’assalto dei nemici che erano riusciti a superare la cinta muraria: stretti tra le mura e le prime case, gli assalitori si ritrovavano chiusi all’interno del vicolo, in trappola.
I rimanenti edifici di Via Borgovecchio, pur allineandosi sino ai primi anni Novanta di questo secolo sull'antico asse stradale, sono costruzioni per lo più recenti; fino a pochi anni fa esisteva ancora un antico cascinale con tracce di decorazioni secentesche (cornici di finestre, volute). La Via discende verso il pianoro, finendo in via Ressia: sul fondo anticamente vi era un ponticello di legno sul rio Vuotasacco. All’incrocio di via Borgovecchio con via IV Novembre, all’interno di un’edicola lignea, è ancora visibile un affresco (fine XIX secolo) attribuito a Paolo Gaidano, il pittore che decorò gli interni del Duomo: rappresenta una Madonna col Bambino; popolarmente è chiamata “Madonna grassa” per le formosità di Maria, ma il termine dovrebbe essere riportato al toponimo “Le grassie”, con cui tutto il quartiere era detto un tempo, a causa della chiesa di Nostra Signora delle Grazie che sorge non distante da lì. Purtroppo l’affresco è molto deteriorato dal tempo.
A sinistra, in Vicolo Ritanotto, è da ricordare che sorse la prima fabbrica di fiammiferi, per merito del signor Tortone, poi ingrandita dal signor Remonda e trasferita nell’ex convento dei Cappuccini (distrtto nel XX secolo).
Via Borgovecchio sfocia in Via Ressia, il cui nome ricorda la ressiga di proprietà del marchese Luigi Graneri della Rocca, che sorgeva al fondo di Via Borgovecchio, tra via Moncrivello e Via Ressia: questa costruzione, alla fine del ‘700, fu acquisita dalla Città. L’adiacente edificio che ospitava il battitore per la canapa, fu ricostruito nel 1822 ma andò distrutto da un incendio nel 1866; dopo essere stato ripristinato, restò sempre in cattive condizioni statiche ma funzionò sino al 1914. All’angolo tra Via Borgovecchio e Via Ressia, troviamo una piccola cappella dedicata alla Madonna: essa è ricavata da un tratto di tettoia di una casa di civile abitazione, passata di proprietà in proprietà, dai Gili ai Siccardi agli Opesso. Lo storico G. B. Lusso la fa risalire al XIX secolo, perché la precisa relazione del canonico Bogino (1744) non ne fa menzione. Inoltre rammenta che è di quell’epoca il soprannome dato ai Gili: Gesiot, che forse ne furono i costruttori.